Il Nome Italia

Il nome. – Secondo Antioco di Siracusa (Dion. Halic., I, 35), il nome d’ Italia derivava da quello di un potente principe di stirpe enotrica, Italo, il quale avrebbe cominciato col ridurre sotto di sé il territorio estremo della penisola italiana, compreso tra lo stretto di Messina e i golfi di Squillace e di Sant’Eufemia, e, chiamata questa regione da sé stesso Italia, avrebbe poi conquistato molte altre città. È questa una delle solite leggende a schema eponimico, ma se ne è voluto dedurre che l’estensione originaria del nome d’ Italia non valicasse i confini dell’estrema punta della penisola, del che si è cercata una conferma in Ecateo, del quale abbiamo frammenti, che assegnano all’Italia Medma, Locri, Caulonia; ma non si può escludere che egli attribuisse del pari all’Italia altre
località, e nell’estensione assegnata da Antioco al nome originario d’Italia non è lec. to vedere più che una semplice congettura dell’autore. Quello che è certo è che, al tempo in cui egli visse, il nome d’Italia designava la regione compresa tra lo stretto di Messina, il fiume Lao e il confine orientale del territorio di Metaponto, come risulta da Strabone (VI, 24), e anzi Erodoto colloca Taranto in Italia (I, 93; III, 136, cfr. Dion. Halic., I, 73), ma poiché pure per Tucidide (VII, 33, 4) l’Italia comincia a Metaponto, è meglio attenersi per allora a questo confine.

Anche Aristotele (Polit., VIII, 1329 b), seguendo Antioco, faceva derivare il nome d’Italia dal re Italo. Ellanico, invece (Dion. Hal., I, 35), raccontava che, mentre Eracle traversava l’Italia per condurre in Grecia il gregge rapito a Gerione, gli fuggì un capo di bestiame, e, ricercandolo egli affannosamente, e avendo saputo che, secondo l’idioma indigeno, la bestia aveva nome vitulus, chiamò Ούιταλίαν tutta la regione. L’essenziale di questo racconto è la riconnessione del nome d’Italia con la voce vitulus, la quale era affermata anche da Timeo e da Varrone, quando costoro quel nome giustificavano così: quoniam boves Graeca vetere lingua ἰταλοι vocitati sunt, quorum in Italia magna copia fuerit (Gell, N. A., XI,1), perché è evidente che ἰταλός nel senso di vitulus sarebbe in ogni caso una voce derivata dal Latino nel Greco dell’Italia meridionale. Un’espressione figurata della stessa riconnessione si ha nelle monete osche battute durante la guerra sociale con la figura del toro e nell’epigrafe Viteliu, sia che questa parola alluda alla capitale degl’Italici, Corfinio, che vediamo dagli scrittori chiamata Italica, sia che debba intendersi qual nome della dea Italia (v. Corp. Inscr. Lat., IX, al. n. 6088).

Se in conformità di queste opinioni degli antichi noi ammettiamo questa riconnessione, la potremo spiegare semplicemente con la ricchezza in bestiame bovino della regione, specialmente in quella parte da cui il nome prese origine, o anche si potrà pensare che il vitello fosse il totem della stirpe degl’Itali, ricordando come anche i nomi di altre popolazioni italiche derivano da animali. E, del resto, è più probabile che la regione abbia preso nome dal popolo che non viceversa.

Comunque, l’etimologia d’Italia da vitulus (umbro vitlu) lusinga: la caduta del v iniziale si può agevolmente spiegare con l’essere stata la parola trasmessa ai Romani per mezzo dei Greci dell’Italia meridionale, e con la stessa ragione o con le esigenze metriche si può dar ragione della lunghezza della i iniziale di Italia di fronte alla i breve della prima sillaba di vitulus. Ma se questa derivazione è accettata dai più, non mancano storici, quali il Niese, e glottologi, quali il Walde, che la ritengono incerta, e vi ha chi la nega addirittura, come M. Orlando.

Nel corso del sec. IV a. C. il nome d’ Italia si estese, dall’una parte, sino a Posidonia e, dall’altra, comprese Taranto (Dionys., I, 74, 4 e Strab., V, 209); intorno al 300 a. C. si allargò alla Campania (Theophr. presso Athen., II, 43 b). Quando poi nei primi decennî del sec. III a. C. tutta la penisola, dall’Arno e dall’Aesis allo stretto di Messina, fu amministrativamente e militarmente unificata sotto la dominazione romana, e le diverse stirpi che l’abitavano, Latini, Sabelli, Etruschi, Apuli e Greci furono costretti a combattere sotto le insegne di Roma con la comune designazione di togati, cioè uomini della toga, il nome d’Italia abbracciò tutta la penisola nei limiti indicati.

La conquista infine del territorio padano e la consapevolezza dell’unità geografica della penisola fecero sì che nel corso del sec. II il nome Italia, pur conservando in senso stretto il significato politico sino al limite Arno-Aesis, si allargasse di fatto a tutto il territorio tra le Alpi e i due mari italiani. Le prime testimonianze su questo uso più largo del nome sono in Polibio e in Catone. E l’estensione anche ufficiale del nome a tutta intera la penisola fu compiuta allorché Ottaviano nel 42 abolì la provincia Cisalpina creata da Silla e comprese anche l’Italia settentrionale nella sua divisione in regioni (v. oltre).

L’unione amministrativa della Sicilia, Sardegna e Corsica, che avevano formato fino allora provincia a sé, all’Italia si ebbe solo con Diocleziano, che comprese le tre isole nella diocesi italiciana. È peraltro curioso notare come la suddivisione della diocesi italiciana dioclezianea in annonaria e urbicaria (la prima corrispondente a un dipresso all’Italia settentrionale con la Rezia, la seconda all’Italia centrale e meridionale con le isole, e rette rispettivamente dal vicarius Italiae residente a Milano, e dal vicarius Urbis residente in Roma) fece sì che nello stesso momento in cui la designazione Italia in senso lato abbracciava anche le isole, d’altra parte, in senso più ristretto veniva a escludere non solo le isole stesse, ma anche tutta o quasi l’Italia peninsulare.

Per comprendere le vicende del nome d’Italia nel Medioevo, e soprattuito per spiegaie le numerose contraddizioni e oscurità che si trovano nelle fonti, va premessa una necessaria distinzione, tra un significato della parola largo, unitario, affermatosi con l’impero e tradizionale fin dal tempo di Diocleziano (vicariatus Italiae, dioecesis Italiciana), e un significato più limitato, di denominazione riferentesi a un organismo politico-amministrativo autonomo. Se la coscienza dell’unità ideale dell’Italia non si spegne mai del tutto, e ne sono prova numerosi passi di scrittori medievali, diversa è invece la sorte della seconda accezione, che subisce vicende varie secondo il succedersi degli eventi politici, portando al fiazionamento e spesso alla scomparsa del nome nelle varie regioni, così che
si può anche, benché con poca proprietà, parlare di diverse Italie medievali.

Particolarmente tormentate sono le vicende del nome nei secoli VI-XII. Non era riuscito ai Goti di sostituire al sacro nome Italia quello di Gothia, ma sotto la dominazione longobarda, dopo un certo periodo, in cui i due nomi d’Italia e Longobardia vennero usati indifferentemente (ancora nell’806 un documento ufficiale carolingio dice “Italiam… quae et Langobardia dicitur”) il termine Langobardia finì col prevalere, ma sempre riferito alla regione sottoposta ai nuovi dominatori.,

Coll’epoca post-carolingica l’antica denominazione di regnum Italiae già affermatasi con Odoacre e identificantesi presso a poco con la dioecesis italiciana, risorge per circoscrivere generalmente i limiti dell’Italia longobarda dalla valle padana al Friuli e all’Istria non costiera fino al Patrimonio di S. Pietro. Anche a lungo si mantenne il nome d’Italia nel mezzogiorno della penisola, sottoposto ai Bizantini, per quanto per le successive diminuzioni del loro dominio, finisse più che altro con designare i territorî loro rimasti “in Italia”, e nel tempo stesso si venissero affermando gli altri nomi regionali (sul finire del sec. X troviamo un catapano “d’Italia” detto qualche volta anche “d’Italia e Calabria”).

Analogamente in altre regioni si trova l’espressione “d’Italia” con significato di “in Italia”: tipico il caso della marca d’Italia o in Italia per cui si intitolano “marchesi d’Italia” un Bonifacio marchese aleramico (Monferrato) e un Bonifacio di Toscana, e Ottone I crea per Alberto Azzo d’Este la “marca d’Italia” (uno dei discendenti s’intitola “dux Italiae”) e nel 1093 Umberto II di Savoia è conte di Moriana e “marchio Italiae”. Interessante la vicenda dei titoli di Ruggiero II di Sicilia. Come Roberto il Guiscardo nel 1082 s’era intitolato “invittissimo duca d’Italia, di Calabria e di Sicilia”, e Ruggiero stesso “conte di Calabria e Sicilia e di tutta la regione italica”, poi, divenuto re nel 1130, si chiamò “re d’Italia”. Il titolo si riferiva senza duhbio ai territorî bizantini dell’Italia meridionale. Col sec. XI la denominazione viene assumendo limiti più precisi, per quanto sempre circoscritti. In un diploma di Enrico lI, a favore del monastero di S. Sofia di Benevento, si accenna ai possessi “tam infra Italicum regnum quam eciam in Apuliae partibus” (1022): la penisola veniva dunque considerata divisa in due parti: il regno Italico e l’Apulia, termine generico per l’Italia meridionale, all’incirca a sud della linea Garigliano-Pescara. Nel 1208 il patriarca d’Aquileia viene nominato da Ottone IV legato “tocius Italiae” e cioè “tam in Lombardia quam per universam Tusciam necnon in ducatu Spoleti et Marchia Anconitana et Romandiola”.

Nel corso del secolo XIII la suddivisione geografica d’Italia si va facendo sempre più precisa e insieme il concetto dell’unità geografica d’Italia si viene diffondendo, finché si giunge all’affermazione solenne di Dante, che, oltre a delimitare i confini della nazione con assoluta precisione geografica, riconosce l’unità linguistica, storica e culturale dei suoi abitanti, cioè l’unità nazionale dell’Italia. Da allora il concetto d’Italia rimane immutato.

Con il Settecento acquista più forte rilievo di fronte al significato tradizionale, culturale, quello che già sopra fu detto politico-amministrativo. Più vivo si fa negl’Italiani il senso di particolari necessità e problemi italiani, più netto il distacco, la differenziazione da necessità e problemi di men vivo interesse nazionale. La coscienza letteraria s’avvia a diventare coscienza più determinatamente politica. Con l’avvento della Rivoluzione scrittori e giornali invocano “la repubblica italiana una e indivisibile” (1796) o la riunione in “una nazione dei diversi popoli d’Italia” (1797). Col 1802, infatti, la Repubblica Cisalpina assume l’augurale
nome di italiana, e d’Italia o italiano o italico sarà tre anni dopo il nuovo regno, esteso a così gran parte della penisola. Pur nell’incertezza provocata dalle delusioni recenti e dalla diversità delle aspirazioni e dei programmi, il senso politico del nome d’Italia più non si perde. Federalisti e unitarî pensano ormai a una “Italia” concreta e ben differenziata dalle terre straniere. E il nome di “Ausonia” che i carbonari mettono innanzi nel loro progetto di una repubblica, non è che un’effimera, letteraria invenzione; ché subito il nome ritorna ad essere quello d’Italia, che nel’32 lo statuto della Giovane Italia porrà alla cerchia delle Alpi e ai tre mari. E il regno d’Italia, imposto dalla realtà nuova maturata in un secolo e mezzo di tentativi e di lotte e vivo già nelle coscienze degli Italiani, nasce
ufficialmente il 17 marzo 1861, quando ancora Roma e Venezia e altre regioni sono sotto diversa signoria.

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